sabato 8 agosto 2015

Io allatto alla luce del sole! L'importanza di un piccolo gesto

Nella vita compiamo molti gesti per istinto e altri perché li abbiamo appresi attraverso l'educazione e la trasmissione culturale. Alcuni diventano così naturali che non ci chiediamo più perché li adottiamo, mentre altri che naturali lo sono davvero finiscono per diventare desueti, innaturali, addirittura causa di sentimenti di vergogna e persino colpa. 
Così è per l'allattamento al seno, gesto primordiale ed essenza stessa dell'istinto umano come partorire e nascere, prima ancora di respirare. Eppure negli ultimi anni si è riscoperto il valore dell'allattamento materno dopo essere stato a lungo sottovalutato e soppiantato dall'idea che l'uomo tutto può sostituire con la scienza e i laboratori, tanto da essere diventato oggetto di tutela giuridica e celebrato in settimane mondiali (proprio ieri si è conclusa la World breastfeeding week). 

Durante la gravidanza mi ero ampiamente documentata sull'allattamento materno e i suoi benefici per il bambino e anche per la mamma. Pensavo di sapere tutto, come molte mamme che si informano e sperano di poter allattare. Mi mancava tuttavia l'esperienza di aver visto davvero altre mamme allattare, non saltuariamente o sotto uno scialle, ma viste alla luce del sole nel mostrare un gesto naturale e quotidiano. Poi è arrivato il parto e come la stragrande maggioranza delle puerpere ho scoperto che tutto è diverso da quello che si legge o si apprende nei corsi nascita. E tutto diventa una sfida. 
Non voglio parlare qui dei vantaggi dell'allattamento al seno perché le fonti buone ed esaustive di informazione si trovano facilmente per chi le vuole davvero seguire, a prescindere da amiche male informate, da nonne e zie ancorate a credenze superate o pediatri e operatori sanitari che spesso fanno poco e male il loro lavoro e dimostrano tutto il marcio informativo e pubblicitario che ruota attorno all'allattamento artificiale da decenni. 

Voglio condividere giusto due cose per me importanti e umanamente arricchenti. La prima è il sostegno e la pazienza che mi ha dato mio marito Foued nell'aiutarmi ad attaccare al seno il nostro bambino in un momento così delicato come le prime ore dopo il parto in cui stanchezza, ansia da pianto di neonato, subbuglio emotivo e preoccupazione di "non avere latte" ti prendono le ultime forze rimaste. Grazie habibi. La mia felice esperienza di allattamento a richiesta l'ho vissuta davvero profondamente e coscientemente, aiutata poi da un cucciolo che mi ha subito ripagata delle notti di poco sonno passate ad imparare a conoscerlo e cercare di capirlo e dai mille momenti in cui ci ritrovavamo io e lui a stretto contatto, per sua richiesta o per mia offerta.
E poi voglio ringraziare una persona che con la sua dolcezza, la competenza e l'empatia ha reso me una mamma che allatta più sicura nella mia convinzione e ha aiutato decine e decine di donne ad allattare, a ri-allattare, a perdonarsi. Sì, perché molte sono le mamme che hanno difficoltà ad allattare e cedono subito per i motivi più diversi, ma soprattutto per scarso sostegno sanitario ed emotivo. Perché sì è il gesto più istintivo, ma è anche un sapere che noi donne contemporanee (e "occidentali"?) abbiamo ormai perso. E a pochi chilometri da Cagliari (a Serdiana) c'è lei, Hilda, la consulente de La Leche League che aiuta mamme e papà in quella che per molte è una vera e propria crociata contro il dolore delle ragadi, i pianti dei bimbi e, soprattutto, i giudizi, i consigli non richiesti e i sensi di colpa che le neomamme già sperimentano frequentemente e aleggiano tutto intorno a loro. Grazie a lei riescono a ri-allattare anche quelle donne che avevano ormai ceduto al latte in formula spesso anche da mesi, ma che nel proprio cuore non avevano mai gettato la spugna. E con la sua dolcezza che è come una carezza di sorella, Hilda aiuta le mamme che hanno bisogno di perdonarsi. Perché ogni diade mamma-bambino segue un percorso unico e uniche sono le emozioni provate e quando si sente forte il fallimento e il mancato allattamento si vive come una sconfitta e come una competenza mancata, è liberatorio lavorare sul perdono. 

Infine, vorrei solo ricordare un concetto sul quale ho iniziato a riflettere proprio dopo gli incontri mensili de La Leche League a Serdiana e che magari riprenderò in seguito. Si parla sempre di trasmissione di anticorpi e beneficio per il sistema immunitario del bambino allattato al seno, ma non ci si rende pienamente conto dell'effetto moltiplicatore per la salute generale e globale dell'uomo. Tutte le donne che allattano, infatti, tutelano la salute anche a livello transgenerazionale, creando e moltiplicando salute e difese immunitarie attraverso questo semplice gesto d'amore. 
E come propone una iniziativa internazionale, Io allatto alla luce del sole! ;)


Il nostro primo incontro mensile de La Leche League, gennaio 2015. Lorenzo Ismail che aveva all'epoca 4 mesi e mezzo:

venerdì 31 luglio 2015

Colombia, una meta scelta dal destino

"Cosa farai dopo la laurea?"
"Boh, non so, vorrei viaggiare, di sicuro passerò un periodo di disoccupazione fisiologica. Comunque sì, voglio viaggiare, voglio lavorare, voglio imparare una nuova lingua. Sì... viaggiare e lavorare insieme... e dove?"
Dove l'ha deciso il destino per me. Dove era scritto e così doveva essere. Dove, in un paese lontano, sconosciuto ai più e ostaggio di tanta disinformazione e di interessi grandi e distruttori.
Ho scelto la meta in un giorno di febbraio 2004, mentre ero a Roma qualche giorno per fare ricerca per la tesi di laurea, insieme al colloquio per il servizio civile e ad una visita al signor Josef Varon, ebreo di Rodi sopravvissuto ad Auschwitz... ma questa è un'altra storia.
"Ma sei proprio sicura di voler andare in Colombia? Farai preoccupare i tuoi genitori!". Mentre mi raccontava del rastrellamento dell'isola di Rodi, della prigionia, del ritorno, ricevetti una chiamata da Antonella del Vides Internazionale, la ong salesiana che cercava volontari per il loro progetto di Servizio Civile all'estero, che ancora prima di laurearmi avevo scelto come possibilità di lavoro una volta conseguito il titolo. Le selezioni si erano svolte la mattina, tutto bene, competenze linguistiche ok, conoscenze di base della cooperazione allo sviluppo ok, bagaglio di esperienza da educatrice agli scout ok. "Ti faremo sapere a breve, ma ti avviso che se continuerai a rimanere sulla tua decisione di andare in Chiapas avrai meno possibilità di partire, come te molti candidati vorrebbero andare nella Selva Lacandona". Vabbé, risposi, per me un posto vale l'altro se si tratta di aiutare, pazienza... non incontrerò il sub-Comandante! Tenetemi presente per qualsiasi altro paese visto che neanche in Angola posso andare perché non parlo portoghese.
E dopo poche ore eccomi al telefono a prendere una delle decisioni più criticate e poi più fortunate della mia vita. Con buona pace di Riccardo che in tutte queste esperienze mi seguiva con affetto, ammirazione e tanta pazienza. In Colombia? Proprio lì? "Eh, nessuno ci vuole andare, abbiamo un solo posto, se scegli la Colombia parti di sicuro!". Ok, accetto. Però lo dite voi a mio padre!
E così sono partita, il 6 giugno 2004, con una laurea fresca fresca in tasca, un visto di un anno per ong ad ingressi multipli. Solo un indirizzo in tasca e l'ansia delle avvertenze della Farnesina attraverso il suo sito internet. Ah, e poi vaccino per la febbre gialla fatto e profilassi antimalarica cominciata, sebbene inutile perché Medellìn, la mia meta, si trova a 1500 metri sul tratto finale della Cordillera delle Ande e non c'è assolutamente rischio.
Sono partita per fare l'educatrice in una casa salesiana per bambine di strada e abbandonate e per occuparmi dei progetti della ong che mi inviava e di quella che mi accoglieva. Sono tornata con un mondo nuovo dentro, nuovi occhi e un amore in più. Un innamoramento immediato per un paese splendido e per la sua gente, dove tutto è colorato, vivo, sorridente, dove c'è voglia di riscatto e di godere del poco che si ha. Dove i più poveri ti donano tutta la loro generosità e dove la natura ti avvolge con il suo verde, ti dona la frutta più gustosa e stravagante e dove la storia parla di sfruttamento e vedi davvero las venas abiertas denunciate dall'amato e insuperabile paroliere Eduardo Galeano. Un innamoramento immediato per la lingua, il cui accento non ho mai perso e che fa di me ancora oggi una colombiana quando parlo spagnolo; per un popolo così diversificato al suo interno e per questo così ricco; per la musica, per i paesaggi, per l'architettura, per Botero e per Gabo.
E poi l'innamoramento più forte per lei. Per quella creatura piccola e insieme così tenace. Per il suo sorriso con le fossette e quelle codette, per la fronte aggrottata quando era stupita. Lei di cui ricordo ogni parola e ogni sguardo, dal suo primo disegno di benvenuto ai suoi racconti. Lei che voleva assolutamente imparare a leggere e scrivere e lo faceva anche da sola in un angolo mentre le "bestioline" si sfogavano nel grande giardino di Casa Mamà Margarita.
Lei che era già un affetto enorme. Più di una bambina cui insegnare qualcosa in un anno scarso, quasi una figlia, più di una futura sorellina.
Sei stata il mio innamoramento più grande, sorellina mia, un vero destino. E sei preziosa per me, fin da quei primi giorni di giugno 2004. Te quiero mucho!

lunedì 13 luglio 2015

Evoluzioni... maternità e maternage

Ci sono esperienze che ci cambiano profondamente. A me è successo già altre volte di sentirmi trasformata da esperienze forti. La Colombia, il Marocco, lo scoutismo... Ma quella che più di tutte trasforma e cambia corpo e mente è una, la maternità. Tra la follia di ormoni impazziti e la lacerazione profonda della tua integrità esiste uno spettro di sensazioni, emozioni, silenzi, ascolti, paure, carezze... doppiezza e presenza, pienezza e distacco. E' una sensazione unica e irripetibile. E ti trascina in un mondo nuovo, in un gergo prima sconosciuto, con nuove priorità, ma soprattutto in una nuova visione e in ritmi diversi.
La maternità ha creato un'altra Shahrazad, forse nuova, forse solo diversa. Sempre Sardinian, perché alle origini sono voluta tornare per mettere al mondo il mio capolavoro e dalla mia terra, in altre congiunture, sto riscoprendo forza e volontà e maturo nuove consapevolezze. E' la forza ancestrale che la maternità infonde, l'istinto che si risveglia e ti rende capace di quello che non credevi. E' amore puro e voglia di lentezza. Perché solo nella lentezza di questo nuovo amore, con il suo ritmo della scoperta e della conoscenza a piccoli passi, assaporo sentimenti prima sconosciuti di potenza creatrice, completa femminilità, ritrovata sorellanza. 
E la cura per il mio cucciolo e quella per la natura che me l'ha dato in dono e per il principio femminile che è in me si intrecciano in una rinnovata armonia. Così nascono e si concretizzano nuove scelte e stili di vita. Non solo protesta contro sprechi e superfluo scellerato, ma voglia di decrescita, volontà di contribuire alla salutogenesi di questo povero mondo martoriato. Coscienza di essere l'artefice di un cambiamento che inizia per primo da me e dal mio bambino. Perché la nostra diade ha un valore che voglio proteggere e rivendico la mia via, il mio istinto di madre ad alto contatto.

lunedì 22 giugno 2015

Piccolo Museo Contus de Arrejolas (Museo delle Riggiòle, Cagliari)


Esistono luoghi, piccoli gioielli sotto casa, che ci passi davanti e li scorgi dalla strada. Molti sono semplici e magici. E raccontano storie, tante storie.
E poi esistono persone con grandi passioni che di queste storie diventano custodi.
Così è il piccolo museo Contus de Arrejolas nel quartiere storico di Castello a Cagliari. E così è la sua anima, Mercedes.
In questo grazioso e insolito museo ricavato in un bellissimo sottano che fino al 2007 ospitava un laboratorio di ceramica – in un palazzo del 1650 posto sotto la tutela della Soprintendenza per la sua valenza storica – Mercedes Mariotti accoglie chi vuole conoscere le sue mattonelle (in sardo is arrejolas) e i loro racconti.
Le mattonelle parlano di un quartiere, di storia, di famiglie, di quotidianità e di saperi.
Ogni mattonella è legata ad una casa e ad una famiglia, ma dice anche molto delle abilità e dei saperi di fabbricazione, nonché del gusto estetico di chi le produceva e di chi le sceglieva per decorare gli ambienti della propria casa. E poi la loro dismissione ricorda l'evolversi della vita del quartiere, la sua decadenza e la sua rinascita.
Al momento sono esposte più di 120 riggiòle (di cui alcune cementine) provenienti principalmente dal quartiere di Castello, ma il loro numero è in aumento. Sono state per la maggior parte donate dai proprietari delle case del quartiere o degli altri rioni storici della città, mentre alcune sono state rinvenute sotto il pavimento del sottano durante i lavori di ristrutturazione (servivano a ridurre l'umidità) o recuperate dalla cisterna punica situata nel retro.
«Se le tengo nello scantinato nessuno saprà che esistono. Tu invece le puoi raccontare». Riggiòle donate affinché potessero avere una migliore collocazione in questo piccolo museo piuttosto che rimanere dimenticate in vecchie cantine o venir buttate.
Da dove provengono queste mattonelle?, chiedo incuriosita a Mercedes. Argilla e caolini provenivano dalla Sardegna, mi risponde, poi le mattonelle venivano terminate e decorate presso le botteghe di Napoli (Amalfi e Sorrento, soprattutto) e della Sicilia, in particolare a Santo Stefano di Camastra in provincia di Messina.


Ma perché da lì? Una storia ne chiama altre e questa viene da lontano. Nella lingua napoletana attuale, il termine riggiòla è sinonimo di piastrella e precisamente un tipo di mattonella in ceramica spesso maiolicata e decorata a mano utilizzata per rivestire pavimenti e pareti. L'etimologia del termine viene attribuita al latino rubéola, cioè rossiccia, ma la sua origine si perde nella storia e negli incontri di lingue e di popoli. A metà del XV secolo infatti, Alfonso V d'Aragona detto il Magnanimo, primo re della dinastia aragonese di Napoli, preso dalla nostalgia di casa, convocò a corte Juan al Murcì, direttore delle ceramiche di Manises, borgo vicino a Valencia, incaricandolo di creare una scuola in grado di formare artigiani “riggiolari” e di istituire una fabbrica di rajoletes pintadas, le variopinte mattonelle maiolicate


Ma il piccolo museo Contus de Arrejolas non racconta solo di mattonelle. Racchiude altri tesori e altre storie, come le due cisterne puniche e le tracce di un rifugio improvvisato utilizzato durante la seconda guerra mondiale dai bambini della famiglia che abitava il sottano.
Una cisterna è profonda 5 metri e conserva la finestrella di pescaggio che con un sistema di corde, cui erano fissate delle brocche, portava l'acqua ai piani superiori. L'altra cisterna, il cui ingresso è stato ostruito, conserva la particolarità di una sagoma che si è ipotizzato sia riconducibile al Dio Moloch o più verosimilmente può essere stata utilizzata, viste le fattezze paurose, come deterrente per i bambini affinché non si avvicinassero troppo all'imboccatura. La famosa “Mamma'e funtana”, o Maria Farranca o “Mamma abbranca”... ma questa è un'altra storia!




https://www.facebook.com/contusdearrejolas?fref=ts

sabato 20 giugno 2015

Come tutto cambia...

L'idea di Sardinian Shahrazad è iniziata in un periodo molto fertile di incontri e di stimoli intellettuali, ma si è interrotto presto.
Si è perso nel flusso di una vita tunisina frenetica, in balia del tempo lento della ricerca e del chiasso dei tram, di contrattazioni al mercato e di manifestazioni in strada, di mercati delle pulci, soste per caffé e citronade a ogni ora. Si è perso in nuove opportunità di lavoro, in nuove amicizie e in una scelta di vita che a fine 2012 mi ha portato al sud, a Gabès.
Città odiata e quasi ostile. Città del sole, del vento, del mare, come Cagliari, come Rabat. Ma di quel cielo blu e di quell'aria buona di mare non c'è nulla. Città che tutto poteva, ma niente ha avuto. Città che nessuno ama, neanche chi ci è nato. Città dove non si può respirare. Città dove la cosa più bella sono i palmeti dell'oasi al tramonto e ti dimentichi anche che è una prigione dove non hai amici e non sei libera. Città dove come donna non ero io. 
Città dove senza saperlo ho (abbiamo) concepito il mio capolavoro.
Ed è grazie a lui che rinasce la mia vocazione di narratrice e riprendo Sardinian Shahrazad. 
Perché quando nasce un bambino nasce anche una mamma. E rinasce una donna.
Perché cambiare il mondo si può, un bambino alla volta.
E intanto, Lorenzo Ismail, tu hai già cambiato il mio mondo... 

Come tutto ha avuto inizio...

Tutto ha avuto inizio nell'aprile del 2012 mentre ero a Tunisi.
Ho vissuto 4 mesi in Tunisia per condurre una ricerca post-dottorale ed è scattata la voglia di raccontare: le manifestazioni, le iniziative di piazza, i miei primi lacrimogeni, gli incontri con intellettuali tunisini, le scoperte nelle mie ricerche, i nuovi amici, la rivoluzione.
Così è nato Sardinian Shahrazad...

Eccolo:
http://sardinianshahrazad.blogspot.it/
(ma non è durato tanto!)